Questo 2016 dev’essere davvero l’anno dei ritorni. A maggio sono tornata a Malta per riscoprire un’isola che non avevo apprezzato fino in fondo. Ad ottobre tornerò per una giornata ad Atene, complice un lungo scalo sulla rotta per la Giordania. Dei biglietti Ryanair a prezzo irrisorio saranno invece il motivo di un ritorno a Londra per un weekend dopo oltre 6 anni.
Pensavo a tutto questo mentre passeggiavo per Bruxelles sotto il sole di fine luglio. Un ennesimo ritorno in un anno che sembra costellato di riscoperte. Il che è davvero strano per me che, come vi ho raccontato spesso, con i ritorni ho sempre avuto un grande problema: con un mondo tanto vasto e poco tempo a disposizione, posso davvero permettermi di tornare in un luogo anziché scoprire una nuova destinazione?
Poi è successo che a Bruxelles persino io ho dovuto ammettere come a volte ci siano dei lati positivi in un ritorno.
Tornare significa conoscere già la pasticceria migliore della città. Il che non significa non poterne provare di nuove, è chiaro, ma soprattutto con poco tempo a disposizione sapere già esattamente dove puntare ha i suoi vantaggi. Perciò appena lasciata la valigia in albergo, sono corsa da Charlie. E quant’è dolce ritrovare un proprio angolo di felicità? È come cercare tra i propri ricordi un attimo fatto di tante piccole emozioni, riavvolgere il nastro ed assaporarle nuovamente.
Tornare significa rivivere quegli stessi momenti di dolcezza quando riconosci un palazzo, un museo, un negozio che hai amato in passato.
Tornare significa poter avere la libertà di perdersi, dimenticare la mappa e la lista di “cose da vedere” perché indovina? Le hai già viste! Perciò nessuna direzione da seguire se non quella dettata dall’istinto. Liberi di perdersi tra vicoli sconosciuti, di svoltare l’angolo all’improvviso solo perché la strada sembra più interessante. Liberi di vagare tra negozi e mercatini vintage, perché non c’è una tabella di marcia da rispettare, non c’è un museo da raggiungere in tempo prima che chiuda.
Tornare significa visitare di nuovo uno stesso luogo e potersi concentrare sui dettagli anziché sulla facciata. Passeggiare nelle Galeries Royales Saint-Hubert e scoprire Tropsimes, una libreria che sembra un’opera d’arte. Voltare le spalle al Manneken Pis ed imbattersi nel Cercle des voyageurs, un locale con le pareti tappezzate di vecchie valigie.
Tornare significa poter scegliere cosa rivedere e cosa no. Poter decidere di entrare una seconda volta al Museo di Magritte e lasciar perdere invece quello di Belle Arti – “La morte di Marat” è straordinaria, ma l’hai già vista: sei libero.
Tornare significa, al contrario, sapere già esattamente che cosa ti sei perso nella visita precedente e poter rimediare. Ogni luogo possiede mille ricchezze che inevitabilmente non abbiamo visto: un quartiere poco conosciuto, una fantastica libreria, una deliziosa pasticceria appena aperta. Tornare significa poter cercare proprio quelle immagini, e scoprirne ancora di nuove.
Tornare significa conoscere un luogo in modo diverso, perchè non sei mai la stessa persona che è partita la prima volta. Tra una partenza e la successiva ci sono stati altri viaggi, altri sapori, c’è stata la vita con tutti i suoi cambiamenti: la me stessa che per prima ha conosciuto Bruxelles aveva negli occhi l’eleganza di Parigi e l’austerità di Amsterdam. La me stessa che è tornata in città invece la paragonava con il design di Stoccolma ed il calore di Lisbona.
Se è vero quindi che il ritorno indica il tornare in un luogo da cui ci si era allontanati, in realtà l’origine della parola allude anche al ciclo, al viaggio che si compie per giungere nuovamente a quel punto di partenza. Ogni ritorno non è mai uguale a se stesso, non è altro che una nuova partenza.
Perciò sì, a volte ritorno. Continuerò sempre ad amare la scoperta, a fremere per conoscere nuovi angoli di mondo, ma sto imparando anche il piacere di ri-trovare un luogo e me stessa. Di concedermi la libertà di tornare sui miei passi senza sentirmi in colpa, se ne ho bisogno.
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