Un déjà-vu. Nient’altro che un fenomeno psichico causato da un paio di vie dal nome simile a Marney road. Non può essere che alle 5:30 del mattino dopo sette sudatissimi km che mi avrebbero dovuto portare nel cuore di Londra io sia di nuovo sull’uscio di casa; certo è che quella BMW M4 e quell’Aston Martin Vintage affiancate non sono così probabili da incontrare.
Oddio! Mi sono completamente perso fino a tornare involontariamente al punto di partenza!
Più determinato che scorato provo a riprendere la via del Tamigi confidando nelle accurate ed utilissime – ? – indicazioni stradali che mi ero premurato di stampare e stringere nella mano destra: la voglia è quella di raggiungere almeno un obiettivo minimo, un monumento qualsiasi, l’acqua… ma dopo un giro di altri 16 km sarei tornato a casa con un breve scorcio di fiume visto da Battersea Park e niente più.
Mi sentivo umiliato, indegno della mia discendenza vichinga, un popolo che aveva financo solcato gli oceani scoprendo l’America; insomma, facciamola breve: un pirla. Sento durante la giornata che avrei dovuto riprovarci, ma con il navigatore in cuffia a suggerirmi le svolte perché nell’uggiosa capitale inglese i nomi delle vie principali non li scrivono quasi mai, preferiscono investire su decorati ed enormi cartelli riferiti alle minuscole viuzze: valli a capire gli amici d’oltre Manica.

Così al secondo giorno (su tre di permanenza totale a Londra) ci riprovo. Al secondo tentativo il percorso nello smartphone è ben pianificato, quindi partire nuovamente all’alba si rivela divertente nonostante il brivido di un nuovo fallimento corra su e giù per la schiena: in pochi minuti mi sto già godendo la vista lungo il Tamigi, di passo in passo mi avvicino al Big Ben lungo marciapiedi sempre larghi e ben collegati. Arrivare al Westminster Bridge trovandolo deserto mi ripaga della fatica, ma il bello sarebbe arrivato poco dopo. Perché non è rivedere il London Eye e tutto ciò che gli gira intorno il cuore della mia corsa, bensì attraversare finalmente St. James park e Hyde park: li sognavo sin dal primo viaggio a Londra senza riuscire in nessuna occasione a gustarmeli come desideravo.
Ho trovato splendido seguire le curve del lago Serpentine più ancora delle visite alla National Gallery o al British Museum: mi sentivo immerso nella vita dei cittadini che come me si allenavano all’alba e mentre li osservavo, ipotizzando giocosamente su quale vita facessero, i km passavano senza far sentire il loro peso. Una dimensione quasi estatica sorretta dall’energia delle nuove scoperte.

Sulla via del ritorno avrei attraversato nuovamente Battersea Park arrivandovi dall’Albert bridge, ma stavolta sarei stato un vincitore: la missione era compiuta. La corsa tra i luoghi e i monumenti più celebri della città era riuscita.
Percorrere 40 km in due giorni ai quali si sommavano gli altri fatti da normale turista è stato impegnativo, non credevo ci sarei riuscito. Fondamentale la scelta di affidarsi al navigatore, ma altrettanto importante è stato sentire nelle cuffie esclusivamente musica inglese: il Regno Unito è la nazione più influente del mondo nella storia del rock quindi l’energia di Smiths, Suede, Verve, Kiss, Led Zeppelin, Billy Idol… non poteva che portarmi a vincere una piccola sfida personale: di quelle che spingono su l’umore e ti fanno sentire più forte.
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